giovedì 26 febbraio 2009

Ambientare la Città

A breve sarà allestita questa retrospettiva a Bagnoli, decine di mie fotografie ne faranno parte...
“Ambientare la città” è una mostra - evento di Think Thanks che scaturisce dal settore di ricerca “sviluppo sostenibile” e si basa sull’idea di raccontare le città attraverso politiche ambientali e approfondendo questioni urbane legate alla sostenibilità.

All’interno della mostra è possibile visitare gli spazi espositivi con il supporto di guide e partecipare a seminari didattici realizzati da esperti sulle politiche ambientali e l’energia alternativa.
La fruizione della mostra, installata nel Centro di documentazione di ThTh, sarà tarata in base alla fascia d’età dei visitatori, con proiezioni e laboratori/seminari ad hoc.
La mostra può ospitare un massimo di 60 persone al giorno e la visita è gratuita.

All’interno di “Ambientare la città” vengono presentati ed analizzati i seguenti casi:

Barcellona che costituisce l’esempio dell'affermazione dei principi dello sviluppo sostenibile, scaturiti da una precisa scelta di governo basata sull’energia rinnovabile. Le immagini esposte sono di Vicens Giménez che mette in scena la “Ordenanza Solar Termica” ossia un provvedimento emanato nel 1999 dal Comune di Barcellona che prevede l’obbligo d’integrazione di sistemi solari termici per la produzione di acqua calda, per gli usi igienico-sanitari, nei nuovi edifici come in quelli da ristrutturare. Le foto sono state concesse dalla «Fundaciòn Terra», un’organizzazione ambientalista nata con lo scopo di contrastare i cambiamenti climatici.

Il Cairo in cui il sistema dei rifiuti è affidato all’autogestione.
La mostra mette in scena il “quartiere della spazzatura” di Mokattam del Cairo. Le immagini, realizzate da Marco Trovato, giornalista e fotografo indipendente che si occupa di culture e problematiche legate al continente africano, raccontano come un vero e proprio esercito (gli Zabbalin), viva raccogliendo e selezionando i rifiuti. Gli scatti fotografici si colorano nella varietà cromatica degli scarti urbani fino a mostrare un quartiere completamente funzionale allo smaltimento di rifiuti, mentre la condizioni di vita degli Zabbalin si caratterizzano per l’insostenibilità igienico sanitaria di vite e abitazioni invase dai rifiuti.

La Regione Campania con il suo intreccio inestricabile di rifiuti tossici e discariche abusive.
I documenti video e fotografici mostrati sono di giovani napoletani. Si prevedono, inoltre, testimonianze di esperti del settore. In particolare si prevede la proiezione fotografica sull’emergenza dei rifiuti con un approfondimento sulla “Terra dei fuochi” ossia la zona tra Napoli e Caserta, che ha maggiormente subito l’emergenza e lo smaltimento illegale rifiuti, e la proiezione del corto “La raccolta differenziata”, regia di Luca Liguori, vincitore del Capri Hollywood Festival (2008).

Nairobi in cui la popolazione di alcuni slums (baraccopoli) trae quotidiano e diretto sostentamento dalla più grande discarica del Paese (Dandora), risultato dell’assenza di progetti per un corretto smaltimento dei rifiuti.
Sarà proiettato il documentario “Trash is Ca sh”, sulla discarica di Dandora, prodotto dalla Cultural Video Fondation, un’organizzazione non governativa internazionale fondata nel 2007 a Nairobi la cui mission è l'utilizzo del video e delle nuove tecnologie a supporto di progetti di cooperazione, di sviluppo e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica in diversi campi: sviluppo sostenibile, turismo responsabile, cooperazione allo sviluppo, arte e multimedia, giornalismo ed attualità. Il video mostra le condizioni di vita nella discarica e mette l’accento sulla pericolosità del diffondersi di epidemie a causa delle pessime condizioni igienico/sanitarie.

martedì 24 febbraio 2009

PRG Provinciale, o sarà troppo tardi

L’urbanista Alfredo Di Patria descrive i rischi che corre il territorio di Caserta: “i napoletani useranno Terra di Lavoro come periferia-dormitorio”

Già oltre quindici anni fa l’architetto Alfrefo di Patria si interessava della conurbazione casertana in tesa, in pratica, come un unico mega agglomerato da Capua a Valle di Maddaloni, che comprende ben 17 comuni e una popolazione stimabile in oltre 300mila abitanti. E proprio in merito a questo argomento, l’urbanista di Santa Maria Capua Vetere ha, nel tempo, ha organizzato, già nel 97, un convegno i cui atti furono dati alle stampe.
Architetto, lei ha sempre sostenuta la necessità di sottomettere a una regolamentazione urbanistica complessiva lo sviluppo dei comuni afferenti alla conurbazione casertana. All’epoca sollecitava la redazione di un piano urbanistico comprensoriale. Lo ritiene ancora necessario?
Si, senz’altro. E non è necessario essere esperti in urbanistica per cogliere le ragioni per cogliere le ragioni di un piano intercomunale dei comuni gravitanti sul tracciato dell’Appia, da Maddaloni a Capua. I suddetti aggregati urbani, i cui territori sono compresi nella fascia delimitata tra i monti Tifatini e i regi Lagni, costituiscono da diversi decenni un sistema insediativo ad urbanizzazione continua dal contorno frastagliato. Una caotica conurbazione formatasi per l’incontrollato sviluppo dei comuni confinanti, che si è avuto a partire dagli anni 60. Da allora, purtroppo, preziose risorse territoriali (storiche, archeologiche, ambientali e produttive) sono state fagocitate dal proliferare di tessuti edilizi privi di strutturazione organica e di prospettive per le comunità locali. Da tempo la Provincia avrebbe dovuto imporre la redazione di uno strumento di pianificazione sovracomunale, capace di superare la frammentazione dei singoli piani regolatori e di promuovere l’organizzazione di una entità urbana unitaria che , con forza della sua identità, si prepari a giocare un ruolo di primo piano ne processo di riorganizzazione dell’intero territorio regionale.
Le si potrebbe obiettare che le trasformazioni urbane e territoriali cui fa riferimento, per, per quanto pesanti, abbiano avuto il merito di promuovere il passaggio dall’economia agricola a una moderna economia di stampo industriale. Quella che una volta fu definita la “Brianza del Sud”, per intenderci…
La “Brianza del Sud” è una definizione propagandistica che mal si attaglia al processo di industrializzazione di Terra di Lavoro, avvenuto negli anni 60 e 70: l’industrializzazione che abbiamo conosciuto era dovuta all’insediamento di gruppi imprenditoriali stranieri e a un forte sostegno finanziario statale per le infrastrutture.
In effetti, l’indotto locale si è sviluppato in condizioni di subalternità: i nostri imprenditori non hanno mai raggiunto una reale autonomia nell’acquisizione di quote di mercato, né tantomeno adeguati livelli di specializzazione tecnologica. Tanto è vero che, quando i grandi protagonisti hanno avviato la dismissione, è venuto meno l’intero sistema, sia in termini di produttività, sia di livelli occupazionali. In seguito, man mano che le industrie manifatturiere chiudevano, lo sviluppo edilizio ha soppiantato quello industriale: il mattone è diventato la prevalente forma di investimento di operatori locali assolutamente incapaci di dar vita a un nuovo modello economico.
L’epopea del mattone parente prossima della speculazione e dell’abusivismo?
Si, ma con un’amara considerazione a margine. Contrariamente a ciò che si pensa, l’abusivismo ha svolto un ruolo quasi marginale rispetto al degrado del territorio. Molto di più hanno, a mio avviso, i piani regolatori comunali. L’uso del territorio, com’è sotto gli occhi di tutti, è stato definitivamente sottomesso alle ragioni del profitto e dell’acquisizione del consenso politico clientelare. Pubblico e privato si sono coalizzati per inventarsi nuove forme di sfruttamento, sbandieriate come iniziative capace di produrre sviluppo. E la debolezza economica di questo sistema e le sue lancinanti contraddizioni sociali sono l’amaro bilancio della sconsiderata politica di pianificazione degli ultimi decenni: dovrebbero servire ad aprire finalmente gli occhi alla gente e a respingere certe imposture.
Allo stato attuale, qual è il rischio peggiore che corre la conurbazione casertana?
Rischio concreto e terribile è quello di una fusione con l’altra sgangherata conurbazione di Terra di Lavoro, ossia la conurbazione aversana, che si snoda da Casal di Principe ad Orta di Atella, posta a sua volta a ridosso dei popolosi centri abitati che furono in origine i casali napoletani. Una sconsiderata urbanizzazione della fascia agricola a cavallo dei Regi Lagni, eliminando l’ultima zona verde-cuscinetto, porterebbe alla agglomerazione totale con Napoli, a un’unica ingovernabile “ecumenopoli” napoletana, in cui Caserta sarebbe relegata a periferia-dormitorio.
Non pensa che il Piano Territoriale Regionale contenga le misure di pianificazione adatte a scongiurare questa eventualità? Ed inoltre, non è in fase di redazione anche un Piano di Territoriale di Coordinamento Provinciale?
Tutt’altro! Innanzitutto la pianificazione provinciale risulta irrimediabilmente condizionata da quella regionale. Quanto al Piano Territoriale Regionale, basta leggerlo per rendersi conto che esso, alla fine di ponderosi analisi, non disciplina in maniera limpida e determinata proprio un bel niente, rimandando tutto a forme di pianificazione locale concertate tra istituzioni ed operatori. Il messaggio è chiaro: si può fare tutto a condizione che venga approvato a livello regionale. E, peraltro, la classe dirigente napoletana ha già deciso di utilizzare la piana casertana come il luogo in cui scaricare le contraddizioni demografico-produttive di Napoli. Un campo sconfinato, quindi, per operatori di ogni calibro (e ogni spregiudicatezza) e per svariate forme di accordi politici e spartizioni di affari. Fosche ombre si addensano sulla sorte della conurbazione casertana, proprio ora che sarebbe davvero venuto il momento di operare perché essa ritrovi una fisionomia, un proprio equilibrio demografico, produttivo ed ambientale.
Su di essa potrebbe abbattersi la mannaia di un’arrogante pianificazione concertata tra addetti ai lavori – politici, investitori, costruttori - le cui decisioni passerebbero sulla testa delle comunità locali.
Dalla rivista mensile "Fresco di Stampa"

domenica 8 febbraio 2009

Il Parco Pozzi è spogliato quasi completamente del verde senza ragione.

Da Il Mattino, 02/02/2009 (di Nicola Rosselli)

Al centinaio di querce secolari sottoposte a potatura radicale si aggiungono anche una decina di altre piante dello stesso tipo inspiegabilmente abbattute e con esse anche qualche pino.

Siamo alla "macelleria naturalistica" nel parco pozzi di Aversa e le associazioni ambientaliste fanno sentire, anche se irrimediabilmente in ritardo, la propria voce. «Non c'è bisogno di essere grandi esperti in materia di piante o nel settore giuridico. Ad Aversa il consiglio comunale ha approvato, circa dieci anni fa, su nostra proposta un regolamento che tutela il verde e dovrebbe anche farlo applicare». Ad affermarlo Alessandro Gatto, aversano, del direttivo regionale del Wwf, che intende far luce sulla kafkiana vicenda delle querce secolari ridotte a scheletrici fusti, presenti nel Parco Pozzi. Una potatura radicale che ha fatto gridare allo scandalo buona parte della città, mentre si registra il solito silenzio da parte dell'amministrazione, se si eccettua una promessa di "accertamenti" da parte dell'assessore al ramo Nicola de Chiara.

Lo stesso de Chiara, da quanto si è appreso, avrebbe convocato per oggi il responsabile del settore a cui fa capo il "verde urbano", il dirigente comunale Ciro Navarra. «Al momento - continua Gatto - quell'atto del consiglio comunale rimane l'unico riferimento normativo in materia. Il regolamento al capitolo "potature" prevede che non si vada al di là di sfrondature o rimonda, eliminazione dei rami secchi. Sulla potatura degli alberi ci sono diverse scuola di pensiero, ma il taglio drastico ha più senso quando si parla di alberi da frutto, non per il verde urbano».

Insomma, per l'esponente dell'associazione ambientalista sembrerebbero esserci forti dissonanze tra quanto avvenuto nel parco Pozzi, dove quelle querce potrebbe essere irrimediabilmente perdute, e quanto prevede il regolamento tutt'ora vigente e che «solo un ulteriore passaggio in consiglio comunale potrebbe modificare. Circostanza che fino ad oggi non si è verificata». Gatto conclude ricordando che ha chiesto da tempo all'assessore de Chiara di convocare la consulta per l'ambiente dove discutere di quanto è avvenuto.

Ma, intanto, ieri mattina, nel parco Pozzi, quei pochi che vi si aggiravano nello scenario di degrado e desolazione, lontano anni luce da come la Regione Campania lo aveva consegnato all'amministrazione comunale nel 1990, si recitava una sorta di ossessiva giaculatoria: «Questa amministrazione sembra che valuti gli alberi come nemici da abbattere». L'opinione pubblica aversana, ma soprattutto i frequentatori del parco Pozzi, in massima parte anziani e praticanti il footing, sono convinti che dietro tutto questo ci sia, al di là delle voci che vogliono alcuni interessati alla legna, una scarsa sensibilità verso il verde. In pochi mesi sono stati tagliati pini in via Caravaggio, querce in piazza Mazzini fino allo scempio di queste ultime settimane. Che il verde fosse divenuta un'ossessione per il centro destra aversano?