venerdì 4 giugno 2010

Nè diavolo nè santo: solo Saviano

Parla il professor Barbagallo, storico
della Camorra: Gomorra è un libro importante, Roberto è bravo. Ma ha un’eccessiva tendenza al martirio.

“Go! Morra. C’amorra go! ‘O cunte de bucie (nero su bianco)…
Cca nun se fanno nome, strummolo co spavo…”. E ora, quella che promette di diventare la moda dell’estate, l’attacco a “Gomorra” e a Roberto Saviano, diventa anche un rap. Scritto da Daniele Sepe, uno dei più originali musicisti napoletani. Comunista doc, irriverente fino alla dissacrazione, Sepe mette in musica il suo giudizio sul best-seller, “il racconto delle bugie”, e sul suo autore, uno che non fa mai nomi di politici, quindi da liquidare con una frase che in dialetto napoletano (“strummolo co spavo”, trottola da muovere con un filo di spago), suona ancora più offensiva. Insomma, non bastava il saggio di Dal Lago sull’eroe di cartone, l’accusa (poi malamente ritirata) di aver sfruttato le sofferenze di Napoli del calciatore Borriello, ora anche un rap. Chiediamo a Francesco Barbagallo, nella sua doppia veste di professore di Storia dell’Università Federico II di Napoli che ha conosciuto Saviano giovane laureato, e di studioso della camorra, cosa sta succedendo. “Semplice nella sua drammaticità: in Italia non ti perdonano il successo e la fama. In questo paese contano due cose: i soldi e l’apparire in tv. Roberto Saviano ha tutto questo, per molti è insopportabile, quindi va distrutto. Io capisco le critiche anche feroci, ma gli attacchi violenti no. Definire Saviano un eroe di carta è una denigrazione tanto feroce quanto infondata”.

Il giudizio è di Dal Lago, Daniele Sepe, però, in un’intervista dice che Saviano non è un esperto e che se si vuole sapere qualcosa di serio sul rapporto tra camorra e politica bisogna leggere il libro di Barbagallo “Napoli fine Novecento”.

Sepe è un artista e parla con la pancia, ma Dal Lago no, è uno studioso di valore e come tale ha il dovere di analizzare i fenomeni nella loro complessità.

Lei ha conosciuto il Saviano degli esordi.

Sì, nel 2004. Era uno sconosciuto, scriveva sul Manifesto e Diario per poche decine di euro. Era bravo, ricordo che interveniva in tutte le occasioni nella quali si parlava della camorra e dei suoi rapporti con la politica, e lo faceva con grande capacità di analisi. Ha sempre avuto una grande forza d’animo, ma con un limite di fondo.

Quale?

Il desiderio spasmodico di lottare contro la camorra ma con una tendenza eccessiva al martirio, tanto che a un certo punto della sua vicenda, tentò di prendere le distanze. Non era contento del clima che gli si stava creando intorno. Ricordo che una volta, prima di “Gomorra”, venne da me dicendomi che i carabinieri gli avevano proposto di entrare nella loro intelligence o nei reparti speciali. Gli consigliai di continuare a fare le cose che sapeva fare e gli chiesi un saggio per una rivista.

Poi Gomorra e il successo.

Di quel libro si può discutere all’infinito, ma un merito gli va riconosciuto ed è enorme: aver portato all’attenzione mondiale la camorra e il suo potere. Gomorra ha inferto una ferita mortale al clan dei casalesi. Prima dell’uscita del libro nessuno sapeva quale impero si celasse dietro i vari Sandokan, Cicciotto ‘e mezzanotte etc, i magistrati del processo Spartacus erano soli. Diamo a Saviano questo merito storico, anche riconoscendo che in alcune occasioni ha ecceduto.

Quando?

Quando è andato a Casal di Principe e ha fatto in piazza i nomi dei camorristi, da allora quelli lo odiano e vogliono vederlo morto. La camorra, come tutte le mafie, ama il silenzio. I libri danno fastidio se vendono.

Lei ha scritto di camorra, “Napoli fine Novecento” e “Il potere della camorra”, libri importanti.

Le racconto una storia per capire “Gomorra” e riguarda proprio “Napoli fine Novecento”. Einaudi ne stampò 7 mila copie, il libro ne vendette 5 mila, un giorno mi telefonarono dalla casa editrice per dirmi che le altre duemila le avrebbero mandate al macero, e così fu. Erano altri tempi, il 1997 e il libro parlava molto di rapporti con la politica, ma con quel testo toccai un’area di lettori già sensibilizzati, il grande merito di “Gomorra” sta, invece, nell’aver raggiunto tutti. Ora sarà per le minacce ricevute, la mobilitazione dei premi Nobel, la tv, tutto quello che si vuole, ma con un solo libro Saviano è riuscito a raccontare a tutto il mondo il cancro che divora la Campania.

E ha fatto tanti soldi, questa è l’accusa più ricorrente.

E a cosa servono i soldi quando sei costretto a fare una vita d’inferno? Consiglio di vedere l’intervista di Saviano a “Current tv”, lì lo scrittore si confessa e svela la sua vita e quella dei suoi familiari costretti come lui a stare molto attenti. Chi attacca Saviano vuole dimostrare che si tratta di un eroe finto, un po’ come accadde a Giovanni Falcone. Lo distrussero e poi gli restituirono rispetto e credibilità, ma solo dopo Capaci.

da Il Fatto Quotidiano del 4 giugno 2010
nella foto (di Franco Spinelli) Roberto Saviano durante lo storico intervento di Casal di Principe

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