di Lorenzo Calò da il Mattino
giovedì, maggio 13, 2010
La quasi totalità delle dichiarazioni rese dal procuratore capo di Napoli Giovandomenico Lepore e dal suo collega di Santa Maria Capua Vetere Corrado Lembo (ascoltato insieme con i sostituti Donato Ceglie e Silvio Marco Guarriello) è stata secretata. Sono le decisioni adottate dalla delegazione della commissione bicamerale d’inchiesta sulle ecomafie ieri e oggi a Caserta per una serie di audizioni. Uno scenario che Gaetano Pecorella, presidente dell’organismo parlamentare, non ha esitato e definire «da brivido». Tanto più dopo aver effettuato un sopralluogo nei siti di Ferrandelle, San Tammaro e Villa Literno; «ma soprattutto – dirà in tarda serata lo stesso Pecorella – perché al momento non esiste un piano per il futuro, che consenta una gestione efficace per i prossimi anni non solo per quanto riguarda lo smaltimento ordinario dei rifiuti ma anche il trattamento degli scarti speciali. E, si sa, la criminalità interviene proprio nelle situazioni di disorganizzazione e disagio». Una previsione che, a detta dei tecnici della stessa commissione, garantirebbe appena un anno e mezzo di «autonomia», dopodiché sarà di nuovo emergenza infinita. Eppure è solo uno dei tanti spaccati di un quadro dell’orrore cui aggiungono tinte oscure proprio gli atti relativi alle inchieste giudiziarie in corso. Atti incentrati essenzialmente su due fronti: il buco nero dei debiti e della gestione finanziaria e del personale del Consorzio unico delle province di Napoli e Caserta e una serie di inadempienze riscontrate nell’attività dei siti temporanei di stoccaggio dove – durante la fase emergenziale – sarebbe entrato ogni tipo di rifiuto. Insomma, aspetti su cui – hanno confermato Lepore e Lembo – sono ancora in corso accertamenti. A cominciare dalle modalità di conduzione amministrativa del Consorzio: gli inquirenti avrebbero accertato decine di assunzioni, promozioni e avanzamenti di carriera basati su rapporti e intrecci di parentela con politici e amministratori pubblici, segnalazioni e raccomandazioni persino da ambienti riconducibili al clan Buttone di Marcianise. Una gestione quanto meno «disinvolta» culminata, in appena due anni di esercizio, in una crescita esponenziale del personale che solo oggi – di fronte a un’amministrazione affidata a un commissario liquidatore – è esplosa con il bubbone esuberi e con un ammanco di cassa «strutturale» di almeno sei milioni e mezzo di euro al mese. Tanti sono i quattrini che servono a coprire le sole spese del personale a fronte di situazioni a dir poco incredibili cristallizzate nel corso dei mesi con alcuni impiegati cui venivano riconosciute persino 28 (ventotto) ore di straordinario al giorno. Ma non è finita. Sotto i riflettori lo scandalo della depurazione (l’inchiesta non è che agli inizi), oltre 150 scarichi abusivi e inquinanti, un ciclo di «ottimizzazione all’incontrario» con l’acqua che esce dagli impianti più sporca di come entra. Gli inquirenti intendono vederci chiaro anche sulla gestione dei siti di Ferrandelle (aperto nel 2008, ora chiuso, capienza dichiarata 502 mila tonnellate di immondizia, area sequestrata dai Noe) e San Tammaro: un modus operandi non direttamente riconducibile a pressioni della criminalità ma addirittura a leggerezze di tipo tecnico. Particolari riscontrati dalla commissione nel sopralluogo di ieri mattina: piazzole non coperte, formazione di percolato, fuoriuscita di sostanze gassose mai classificate, falle nel servizio di vigilanza. Un esempio? Negli ultimi 10 mesi l’impianto di San Tammaro ha subito tre incendi. Con un unico filo conduttore: in tutte le circostanze le fiamme sono state appiccate in giornate di pioggia. Un particolare fin troppo strano per non far pensare a un atto doloso.
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